In seguito all’adozione dell’Atto unico europeo, i passi avanti compiuti nel programma di completamento del mercato interno entro il 1992, nella liberalizzazione valutaria e nel rafforzamento del Sistema monetario europeo hanno riproposto con forza la questione dell’armonizzazione tributaria europea. L’accresciuta libertà di movimento per merci, servizi, persone, imprese e capitali in un’area comunitaria divenuta sempre più vasta e variegata rende immediatamente percepibili ed influenti le differenze nei trattamenti tributari; inoltre, divengono maggiormente rilevanti i trattamenti tributari prevalenti in paesi terzi facilmente raggiungibili attraverso qualcuno dei dodici paesi della Comunità economica europea. La legittima ricerca del clima tributario più accogliente può dar luogo a spostamenti indotti solo dai differenziali di trattamento nella localizzazione di attività produttive o nella residenza di imprese e persone, e soprattutto di capitali, la cui tradizionale più elevata mobilità è stata ancora accresciuta dalle innovazioni tecnologiche nel campo delle telecomunicazioni e dell’informatica, e dai processi di deregolamentazione attuati in molte importanti piazze finanziarie europee: Questa accresciuta mobilità limita l’autonomia delle politiche tributarie nazionali. Si prospetta una potenziale incompatibilità tra la creazione di uno spazio europeo senza ostacoli alla libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali, e il man tenimento di un grado minimo irrinunciabile di autonomia tributaria nazionale. In mancanza, per il momento, di accordi di tipo federale, il superamento di questa incompatibilità va faticosamente ricercato proseguendo e accelerando il processo di armonizzazione tributaria da tempo iniziato, ma non completato, in materia di imposte generali sulle vendite, e appena avviato in materia di altre forme di imposizione indiretta e diretta.