Il governo italiano ha deciso di cercare di salire in corsa sull’ultimo treno per Maastricht. Il Documento di programmazione economico-finanziaria presentato il 28 giugno scorso confermava il percorso fissato dal precedente governo: un primo intervento correttivo di 32.400 miliardi per ridurre nel 1997 il fabbisogno del settore statale al 4,5 per cento del PiI e l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni al 5,4 per cento; un successivo intervento di 22 mila miliardi per ridurre ambedue i saldi al di sotto del sospirato 3 per cento nel 1998. V’era chi riteneva che si dovesse fa re di più, per non precludersi la possibilità di ammissione alla moneta unica. V’era chi, e fra questi il governo, riteneva che non si potesse fare di più, per non strema re un’economia in condizioni mediocri: gli ottimisti, e fra questi il presidente del Consiglio, speravano che la prova di buona volontà ci avrebbe consentito di strappare un biglietto d’ingresso di prima fila all’ultimo momento oppure contavano su un rinvio della data d’inizio della moneta unica; i realisti si rassegnavano a un paio d’anni di permanenza non solitaria nel limbo dello Sme2 in vista di un’ammissione ritardata.