Il progressivo rientro delle misure di politica monetaria straordinaria adottate negli Stati Uniti dopo il fallimento di Lehman Brothers ha avviato una fase di transizione del ciclo economico mondale. I tassi a lunga sono aumentati e i capitali sono stati ritirati dai molti paesi emergenti penalizzati da situazioni di disavanzo nel saldo delle partite correnti. Ne è conseguita un’accentuata svalutazione dei tassi di cambio e un riposizionamento competitivo dell’area emergente, che ha ridotto il proprio assorbimento all’interno delle dinamiche del commercio internazionale. Alle economie avanzate viene, in tal modo, restituito il ruolo di traino dello sviluppo mondiale. Nelle more di questo passaggio, i saggi di crescita e i commerci hanno rallentato lo scorso anno e sono previsti aumentare quest’anno in misura meno accentuata di quanto atteso ancora a fine estate.
Fra le ragioni che rallentano la ricomposizione della crescita mondiale vi è il persi-stente vuoto di domanda dell’eurozona, il cui ciclo è in netto ritardo rispetto a quanto osservato negli Stati Uniti, in Giappone e nel Regno Unito. Anche se l’intensità della recessione europea si è attenuata, fino ad esaurirsi nella seconda parte dell’anno, le condizioni di debolezza dell’area continuano a essere evidenziate dagli indicatori di mercato del lavoro e di inflazione. Nonostante la Bce respinga con forza l’ipotesi di una deflazione europea, sembra indubitabile che la debolezza della domanda interna e le pressioni al ribasso esercitate sui salari abbiano spinto la discesa dei prezzi al di là di quanto desiderato. Un andamento che si associa all’assenza di crescita, e che abbatte quindi le prospettive di incremento del Pil nominale, allontanando l’obiettivo di pareggio del bilancio pubblico. Risultati che ben evidenziano l’inefficacia della politica economica europea.