Nell’inerzia della politica europea l’economia italiana scivola in depressione, accompagnata dagli altri paesi mediterranei. Le orgogliose economie del Nord Europa sono anch’esse sull’orlo di una recessione che potrebbe rivelarsi profonda e duratura. Anche perché sta venendo meno il sostegno della domanda internazionale, fortemente indebolitasi nella prima parte dell’anno. É plausibile ritenere che la crisi dell’Eurozona stia trasmettendo impulsi recessivi al resto del mondo. La situazione europea resta fortemente contraddittoria. Per i paesi cosiddetti periferici, l’adesione alla moneta unica rappresentò l’occasione per correggere vizi antichi. Si accettò, per questo, di rinunciare allo strumento del cambio e di contenere i disavanzi pubblici all’interno di vincoli prefissati. É innegabile, ma viene negato, che importanti progressi siano stati compiuti: l’inflazione si è stabilizzata e i disavanzi sono stati, prima della crisi, sensibilmente ridotti. In Italia, negli anni della moneta unica, l’inflazione media è stata del 2,2 per cento; l’indebitamento in quota di Pil , sempre in media, è stato il 3,6 per cento. Nel decennio precedente si erano registrati valori, rispettivamente, del 4 e 6,7 per cento. I paesi della core Europe, che pure temevano la contaminazione mediterranea, hanno sfruttato le opportunità offerte dalla moneta unica, espandendo il proprio settore finanziario e traendo beneficio dal mancato riallineamento dei tassi di cambio intra-area.