Non si fossero succeduti guerre e attentati, che molto hanno contribuito ad agitare le acque dell’economia internazionale negli ultimi anni, forse l’opinione pubblica europea, e quella italiana in particolare, sarebbero ancor più preoccupate e perplesse del prolungarsi di questo rallentamento esasperato, di questa fase di bassa del ciclo economico che sembra non esaurirsi. In effetti, l’ombra di quegli eventi traumatici, così importanti e ricchi di conseguenze per specifici settori dell’economia, si è proiettata su uno sfondo grigio in sé, che ancora oggi sembra non mutare. Eppure noi italiani, in particolare, ci attendevamo in questi anni il premio per i notevoli sacrifici sopportati negli anni Novanta al fine di riconquistare un posto in Europa. E anche altri paesi europei, reduci da uno stress sicuramente inferiore, nutrivano aspettative ottimistiche.
Insomma, il quadro internazionale non si è evoluto secondo le attese, e la nostra crisi si inscrive in quella europea. Lo si è ripetuto spesso in tempi recenti e non contraddicono questa sintetica rappresentazione le analisi sviluppate nel Rapporto. Abbiamo, però, cercato di far di più, nell’attribuire un peso ai diversi fattori di crisi, e nel distinguere, a cascata, il fiacco vento internazionale, l’andatura diesel dell’Europa, il passo incerto dell’economia italiana. I risultati dell’analisi ci hanno portato ad attribuire centralità alla crisi europea, ridimensionando timori, aspettative e incertezze incentrati sulla politica economica nazionale, enfatizzando le conseguenze di quanto potrà venire dalla conduzione della politica estera, nazionale ed europea.