
Nel settembre del 1992, a seguito dell’intesa del luglio tra il governo e le parti sociali veniva istituito presso la presidenza del Consiglio il Comitato per il coordinamento delle iniziative per l’occupazione (c.d. Commissione Borghini). Originariamente destinato a studiare tutte le azioni necessarie a velocizzare le procedure di spesa per investimenti pubblici, allo scopo di attivare nuova occupazione, il Comitato, nel corso del 1993, vedeva attribuirsi compiti ben più ampi in relazione all’insorgere di crisi occupazionali, repentine e di forte impatto sulle economie locali. Nasceva così non già un nuovo strumento, ma un nuovo soggetto istituzionale operante nel quadro legislativo esistente e, in particolare, nella cornice della politica industriale difensiva. La creazione del nuovo organismo riconosceva esserci un accesso solo virtuale alle leggi di agevolazione e, più in generale, a tutti gli strumenti di intervento pubblico o, quantomeno, un accesso troppo rallentato se commisurato ai tempi stretti dell’emergenza occupazionale. Anziché agire attraverso un’innovazione della strumentazione, si privilegiava per la prima volta un intervento mirato a fluidificare la comunicazione fra le imprese e l’offerta legislativa. Si esploravano così i limiti della capacità di coordinare l’intervento pubblico e della capacità delle imprese di proporre soluzioni all’altezza dei problemi aperti dal declino industriale o dal crollo di interi comparii. Da qui l’interesse per l’attività del Comitato: un’innovazione istituzionale che non avrebbe tendenzialmente dovuto impegnare risorse pubbliche aggiuntive, ma aggiungere valore a quelle esistenti sotto il profilo della velocità e della consistenza dell’impatto sull’occupazione.