Rapporto Cer 1/1995

Se si considerassero solo le vicende dell’economia reale, il 1994 sarebbe un anno da archiviare con soddisfazione e si potrebbe guardare con fiducia al futuro, prossimo e meno prossimo. Nei paesi industrializzati che un anno fa erano ancora in recessione, e ancora più in Italia, la ripresa si è consolidata, con tempi e ritmi inattesi. Cresce la domanda mondiale; cresce ovunque il prodotto; l’inflazione resta bassa. La macchia di questa ripresa, con l’eccezione degli Stati Uniti e del Regno Unito, è che essa non ha finora resa di maggiore occupazione, soprattutto in Italia, ove la perdita di posti di lavoro è continuata, pur se più contenuta, per tutto il 1994. Altrimenti, vi sono tutte le condizioni per convalidare una prospettiva di crescita sostenibile e sostenuta.
Ma su questa prospettiva grava l’ombra dell’instabilità finanziaria. Grava un po’ su tutta l’economia mondiale; grava soprattutto sul nostro paese.
La debolezza intrinseca del dollaro si è trasformata in una crisi imprevista, sotto la spinta della crisi messicana e per l’attesa di una diminuzione dei tassi americani congiunta all’aumento di quelli tedeschi. La fuga verso il marco ha travolto le valute di tutti i paesi che non presentavano i connotati di forza attribuiti alla Germania; si è trasformata in rotta per le valute dei paesi ritenuti meno affidabili per intrinseche debolezze politiche o di finanza pubblica. Queste due debolezze si sommano nel nostro paese: le diffidenze interne provocano la caduta libera del cambio e accentuano le diffidenze degli investitori internazionali, che si manifestano in un raddoppio dei differenziali dei tassi d’interesse.