L’operatività bancaria dopo aver dimostrato negli scorsi anni di essere perfettamente in grado di isolarsi dai deludenti andamenti dell’economia reale, sembra voler dimostrare ora di poter crescere anche in una situazione d’incertezza quale quella che sta attualmente attraverso il sistema finanziario internazionale a seguito della crisi sui mutui sub-prime americani. I dati più recenti sembrano indicare che la crisi internazionale non ha avuto rilevanti effetti sulla dinamica dei principali aggregati patrimoniali delle banche, in particolare per quel che concerne la crescita degli impieghi.
Uno dei principali timori, all’indomani dello scoppio della crisi dei mutui sub-prime, era che gli effetti di tali crisi, in gran parte imprevisti e forse imprevedibili, fossero tali da mutare l’atteggiamento delle banche verso l’offerta di credito, provocando un credit-crunch che si estendesse dal riferimento proprio dell’origine della crisi, i mutui a fasce marginali di famiglie, verso la più generale platea dei debitori. Negli Stati Uniti il pronto e forte ampliamento dei differenziali di rendimento tra le obbligazioni ad alto e basso rischio, era un chiaro segnale in tale direzione; come chiaro, e forse inquietante, segnale risultava l’ampliamento dello spread tra tassi interbancari a breve termine e il tasso di riferimento della Banca centrale, sia negli Stati Uniti che in Europa, che stava di fatto a indicare come le banche si sono mostrate più restie a prestarsi denaro tra di loro.