La politica monetaria continua a ricoprire un ruolo centrale nell’evoluzione dello scenario macroeconomico. La sfida dei prossimi mesi è molto complessa: le banche centrali dovranno trovare la giusta misura della restrizione monetaria che consenta di riportare l’inflazione al livello obiettivo evitando di incorrere in una recessione. È un compito delicato, perché nonostante il ciclo economico appaia fiaccato dalla crescita dei prezzi e dagli effetti della restrizione monetaria, l’inflazione continua a mostrare un’elevata persistenza. Nella definizione della dinamica dei tassi di policy un ruolo importante lo ricopriranno anche gli effetti delle tensioni internazionali, soprattutto con riferimento alle quotazioni delle materie prime e al commercio internazionale. Il sentiero che le Banche Centrali stanno percorrendo è per queste ragioni particolarmente stretto.
Nella seconda parte del 2023 è tornata a prevalere una visione sfavorevole sull’andamento del ciclo economico. I previsori internazionali hanno ribassato le stime di crescita, in molti casi riducendole a pochi decimali. Le più recenti valutazioni del Fondo Monetario Internazionale indicano per l’anno in corso un aumento del Pil poco oltre il 2% per l’economia statunitense e un’espansione di soli 6 decimi per l’Area euro. La deludente performance europea è legata principalmente alla contrazione dell’economia tedesca, il cui rallentamento tedesco impatta su tutta l’Area e sia all’economia francese che quella italiana è attribuito un saggio di crescita inferiore all’1%. Per il 2024 è attesa un’espansione più lenta per l’economia statunitense (+1,5%), mentre per l’Area è attesa una crescita dell’1,2%, che tuttavia resta tutta da conseguire. Nel 2025 il FMI prevede una espansione più rapida sia negli Stati Uniti che nell’Area euro, con incrementi di Pil comunque non superiori al 2%. Allo stato attuale, quindi, le prospettive di crescita appaiono dunque piuttosto deboli.