Rapporto CER 3/2017

Nel corso del 2017, la Fed è stata la prima tra le banche centrali dei G7 ad avere attuato politiche monetarie restrittive, sia alzando gradualmente i tassi d’interesse fino all’1,5 per cento nel quarto trimestre 2017, sia iniziando da ottobre 2017 il disinvestimento dello stock di assets acquisiti per portare avanti il QE. Ad oggi, con esclusione di quella giapponese, le altre banche centrali stanno timidamente abbandonando le politiche ultra-espansive e non-convenzionali.
Nel corso del 2017 si è assistito ad un graduale miglioramento del quadro economico globale. Nonostante l’avviata normalizzazione della politica monetaria, la previsione di crescita dell’economia statunitense continua ad essere migliore, sia pur di poco, rispetto a quella dell’Area euro: negli Stati Uniti la crescita si mantiene fino al 2020 di qualche decimo sopra il 2 per cento all’anno, mentre nell’Area euro è più bassa mediamente di due decimi di punti percentuale. Pare più problematica la situazione per l’economia del Regno Unito che dopo l’estate ha mostrato segnali di rallentamento. I mercati azionari hanno reagito in modo non uniforme all’intonazione positiva della congiuntura mondiale. Infatti, se gli indici statunitensi e giapponesi hanno mostrato una crescita nel corso dell’anno, quello europeo è risultato stabile, negativamente condizionato soprattutto dai corsi delle azioni spagnole.Spostando l’attenzione sui tassi di interesse, si conferma il graduale ampliamento dello spread tra i tassi a breve termine degli Stati Uniti e quelli di Giappone e Area euro, in conseguenza della diversa impostazione della politica monetaria. Meno marcata è la divergenza tra i tassi di interesse dei titoli decennali, soprattutto perché quelli statunitensi non stanno reagendo alle manovre della Federal Reserve. I tassi di inflazione si sono situati da alcuni mesi nella fascia tra l’1,5 e il 2 per cento negli Stati Uniti, nell’Area Euro e in Cina. Più lenta la risalita dei prezzi in Giappone, la cui economia, tuttavia, pare allontanarsi da nuovi rischi di deflazione.

 

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